Circa
duecento nottambuli, in vena di festeggiamenti, procedono verso
il 674 della Broadway, situato proprio a nord di Houston street.
Il quartiere è deserto, le piccole botteghe di artigiani o hanno
chiuso o si sono trasferite fuori Manhattan, e le strade
lastricate e gli edifici senza luce sembrano un set
cinematografico abbandonato.
Ma c'è del movimento di fronte al
n. 674, e già prima di mezzanotte si è cominciata a formare una
lunga coda davanti all'imponente magazzino. Le persone sono
accolte all'ingresso dell'edificio e gli viene chiesto di
mostrare l'invito, dopodiché salgono la scala che li porta al
primo piano dove un altro addetto controlla il loro nome, infine
salgono al secondo e lasciano la loro offerta di due dollari. Sono finalmente entrati al
“Loft”. L'interno, un guscio post-industriale che in qualche
modo riesce ad essere intimo e dispersivo allo stesso tempo,
colpisce proprio come l'esterno. Qui non sembrano esserci né
stanze nè bagni, e lo spazio, progettato aperto, è decorato con
centinaia di palloncini colorati che pendono dal soffitto,
galleggiano nell'aria e rimbalzano sul pavimento di legno. Un
altare yoga corre lungo una della pareti, su di un'altra fa
bella mostra un ricco buffet di succhi, frutta fresca e
noccioline varie, e una gigantesca palla rivestita di
specchietti è appesa al centro del soffitto.
Il resto della sala
è vuoto. Nessuno vive così. Nemmeno i newyorchesi. O perlomeno
non fino ad ora. Una musica soave viene fuori da un paio di
casse Klipschorn, riempiendo lo spazio di possibilità, e come
gli ospiti iniziano a sentirsi a loro agio in questo nuovo
ambiente, i loro corpi cominciano a ondeggiare, le braccia si
tendono, le gambe si scaldano e i piedi inconsapevolmente
battono il ritmo. Nota dopo nota, battuta dopo battuta la musica
diventa sempre più intensa e ritmica fino a che, tutto e tutti,
sono trascinati in una vertiginosa esibizione di movimenti. La
fonte della musica rimane comunque un mistero: l'anfitrione del
party David Mancuso stà mettendo dischi con i suoi piatti AR, ma
la sua ispirazione viene da chi balla, a sua volta stimolato
dalla musica. I messaggi sono indefiniti e complessi, nessuno
scienziato potrebbe sperare di calcolarne lo sviluppo di
relazioni a livello di energia, forza e movimento, ma la
comunicazione è indubbia. E' una situazione nuova, e diventerà
presto l'incubatrice della più importante rete di connessione
tra moltissimi proprietari di clubs
e dj durante gli anni ‘70 e
‘80. Sette anni dopo, nel ‘77, un altro tipo di
locale apre in una diversa zona della città.
Lo Studio 54, prende il nome dal
posto dove si trova: il n. 254 della 54ma west, nel cuore della
zona dei teatri di Broadway. E' facile individuarne la porta di
entrata per il fatto che diverse centinaia di clienti stanno
provando ad entrare, la maggior parte senza riuscirvi. Le
celebrità, si capisce, sono una parte cruciale nella scena che
si va svolgendo. Tantissime sono state invitate e un numero
impressionante se ne è presentato. Il caos è tale che molti –
tra cui, si dice, Frank Sinatra non si azzardano nemmeno ad
uscire dalle loro limousine. Presiede sopra il pandemonio Steve Rubell che insieme al suo socio Jan Schrager, è proprietario
della nuova discoteca. Sotto tutti i punti di vista è piuttosto
soddisfatto di se stesso. A chi balla dentro il locale potremmo
perdonare il fatto che si meraviglino di dove siano entrati.
Lo Studio 54, dopotutto, è sistemato in un vecchio teatro, e
sembra avere più in comune con uno show di Broadway che con una
discoteca. L'impressione è accuratamente studiata. Carmen D'alessio
, ex capo delle pubbliche relazioni per Valentino, e mente
creativa che è dietro l'allestimento dello Studio, voleva
combinare palco e pista da ballo per realizzare un allestimento
multimediale e intercambiabile, permanentemente funzionante, e
per realizzare gli arredi degli interni e l'impianto luci aveva
assunto tutti i maggiori esperti sulla piazza, incaricandoli di
creare il massimo effetto scenico. Il risultato finale, un misto
di sfarzo e sfavillio pirotecnico, emoziona e al tempo stesso
disorienta. La gente balla seppur seguendo un ritmo spezzato.
C'è così tanto da vedere che l'esperienza sonora risulta
insolitamente smorzata. Richie Kaczor, uno dei migliori dj del
circuito, sta mettendo la musica, ma pochi sanno chi sia, e
ancora meno hanno interesse a scoprirlo. Per la clientela dello
Studio ci sono cose ben più importanti a cui prestare
attenzione, come le celebrità che potrebbero o non potrebbero
star ballando nelle loro vicinanze, o la possibilità che
qualcuno pensi che siano loro stessi delle celebrità, o che lo
Studio potrebbe, in qualche modo, offrire loro quella svolta che
stanno aspettando. Una presenza massiccia dei mezzi
d'informazione rende l'atmosfera più intensa: troupe
cinematografiche filmano lo spettacolo e i fotografi catturano
istantanee di questa magia in atto. Qualunque sia la loro
condizione sociale, chi balla crede di star prendendo parte ad
una nuova forma di democrazia, con le luci dei flash come chiave
per l'uguaglianza, piuttosto che urne elettorali o proteste in
strada. Così come il Loft, questa è una situazione nuova, e sarà
vista da molti come la rappresentazione dell'apoteosi della
disco. Questi mondi contrapposti sono il ritratto di due dei più
importanti locali del decennio. Uno adotta basso profilo e
riservatezza, mentre l'altro è stellare e affamato di
pubblicità. Uno incarna downtown, mentre l'altro è il simbolo di
midtown. Uno concentra la sua attenzione sui dj e il ballo,
mentre l'altro è più interessato alle luci dei flash ed agli
allestimenti spettacolari. I due ambienti sembrano non avere
nulla in comune: provengono da differenti tradizioni ed
abbracciano diversi ideali. E potrebbero addirittura essere
descritti come antagonisti che lottano per stabilire il modo in
cui l'America debba ballare. Eppure esistono inaspettati
collegamenti tra il
Loft e lo
Studio 54. Per esempio il sistema audio dello
Studio 54 era stato installato da una stretta conoscenza di
David Mancuso. Nicky Siano, uno dei due dj che lavoravano per lo
Studio, era un assiduo frequentatore del
Loft. Così come Carmen D'alessio, che prova seppur
brevemente, ad adottare per il nuovo locale lo stesso sistema di
inviti del Loft. E mentre in verità, i proprietari dello
Studio 54, non hanno visitato il
Loft, uno di loro – Steve Rubbel – ha copiato qualche idea
da alcune derivazioni del
Loft. Questi locali quindi, hanno in comune sicuramente
qualcosa in più di un quello che suggerirebbero occhi e
orecchie.
Love Saves The Day, nome
in codice del party inaugurale di
David Mancuso per San Valentino, racconta la storia sia del
Loft che dello
Studio 54. All'inizio li descrive come fenomeni separati.
Uno, dopotutto fu il fulcro dell'underground newyorchese, mentre
l'altro diventò il punto focale dell'edonismo eccessivo di
midtown. Tuttavia, Love Saves The
Day esplora anche le connessioni che esistevano tra i due
locali, unendo i punti e rivelando quindi, il modo in cui la
dance culture evolse dal modello appartato del
Loft
fino al paradigma estroverso dello
Studio 54, ed il modo in cui queste due discoteche divennero
snodi cruciali del più ampio scenario del “mondo notturno”. Quel
continuum non iniziò e finì a Manhattan, ma si estese in un
vasto assortimento di centri urbani e satelliti periferici che
seguivano la scia, ma a loro volta arricchivano i poli
metropolitani della musica dance. Ovunque fossero ubicate, le
discoteche quasi invariabilmente, attraevano e successivamente
perdevano le loro folle di appassionati, a volte perché un Dj
favorito se ne andava, a volte perché un gruppo di imbucati
rovinava il party, a volte perché una migliore alternativa
apriva in un'altra parte della città, e a volte perché le giunte
comunali decidevano di averne avuto abbastanza. Queste autorità
agivano seguendo una serie di editti bizantini che riguardavano
problemi di consumo d'alcool, modalità d'ingresso, uscite di
sicurezza, destinazione commerciale dell'edificio, orari
d'apertura, livelli di rumorosità e preferenze sessuali, anche
se a volte erano costretti ad ammettere di avere solo un
controllo limitato, su un particolare tipo, tra i vari party
privati. I proprietari, dal canto loro, non solo avevano a che
fare con questi zelanti legislatori, ma dovevano anche tenere
d'occhio quello che sembrava essere un settore in continua
espansione. Tra tutto questo clamore, qualcuno di loro era
riuscito, occasionalmente, anche a ballare, cosa che li aiutava
a ricordare, seppur fugacemente, il perché erano entrati nel
“clubland” in primo luogo/istanza. Altri, invece, furono più
interessati al sali-scendi del mercato delle discoteche,
piuttosto che a qualcosa che avesse a che fare con il Dancefloor,
e questi finirono con pagare un prezzo diverso per quella che
era stata la loro sete di profitto. Operando nel centro vitale
di questo sistema composto da ballerini e grossi proprietari, i
Dj divennero il canale di connessione della cultura dance degli
anni '70, grazie alla loro abilità a scovare i dischi giusti,
creare combinazioni musicali sempre nuove, sviluppare nuove
tecniche di mixaggio e costringere, in questo modo, la gente a
ballare. Alcuni di questi fabbricanti di musica lavoravano per
etichette indipendenti, mentre altri erano legati alle più
importanti case discografiche. Tutti, in un modo o nell'altro,
operavano in un mercato che inizialmente ruotò intorno ai
piccoli e graziosi 45 giri, ma finì con il prostrarsi in
adorazione all'altare dei singoli a dodici pollici. Tra le due
fasi, l'iniziale confusione di “party music”, fu sostituita da
“disco”, una terminologia chiaramente più adeguata al mercato,
sebbene tutti i tipi di protagonisti ebbero tutti i tipi di
problemi con questo genere estremamente politicizzato. I mezzi
d'informazione, un sistema complesso di fanzine, riviste,
quotidiani, stazioni radio, canali televisivi e case
cinematografiche, inizialmente indifferenti, diventarono poi
esageratamente entusiasti del fenomeno disco, fino a quando le
circostanze non contribuirono a far traballare ed infine
affondare la loro imbarcazione favorita. Queste ed altre storie
sono parte del cuore pulsante di questo particolare viaggio
attraverso il panorama notturno degli anni '70.
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